Il tinello

Il tinello

Chi non c'era non potrà mai capire cosa significavano i tinelli. Ormai nelle case moderne non esistono più, sacrificati al dovere di rimanere imbustati in spazi sempre più ridotti. Chi oggi abita in appartamenti più vecchi ha eliminato i tinelli abbattendo muri, allargando i salottini, incassando doppi o tripli servizi, o ricavando da quei piccoli santuari di modestia e di geniale banalità altrettante omologate camerette per !'infanzia. Ma noi che abbiamo conosciuto, vissuto i tinelli, ne ricordiamo l'aria, il sapore un po' di chiuso che mischiava negli inverni milanesi il fritto della cotoletta al profumo della cuccuma, quella che noi bambini avevamo il divieto assoluto di girare, perché era matematico che quando un bambino girava la cuccuma rovesciava tutto il caffé e già poteva andare di lusso il non esserselo tirato addosso. I tinelli degli anni Cinquanta avevano le luci fioche, era inconcepibile una lampadina che superasse i 60 watt, e il tavolo rotondo, e la credenza con a vista tutti i servizi di stoviglie di uso quotidiano. Quelli buoni se ne stavano nel mobile bello in sala. Non eravamo ricchi, ma la nostra non ricchezza, che in certi mesi dell' anno sfiorava la povertà, prevedeva pur sempre una sala. Così come per i tinelli, chi non c'era non potrà mai capire che cos' era la sala. Neanche noi lo capivamo e soprattutto non ne comprendemmo mai l'utilità. Ai bambini era interdetta, a tutta la famiglia era interdetta. La sala se ne stava sempre chiusa dietro la porta ad aspettare improbabili ospiti che arrivavano quattro o cinque volte all'anno. Allora si accendeva il lampadario che in genere aveva dodici lampadine, ma gli interruttori erano due e ne comandavano sei alla volta, che dovevano essere rigorosamente alternate per consumarle uguale. Solo a Natale e a Capodanno il lampadario pompava al massimo procurandoci un' emozione che solo chi l'ha vissuta o è atterrato di notte a Las Vegas può capire.
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(tratto dal romanzo Neppure un rigo in cronaca, Rizzoli, 2000)