Quinto stato (best)

Quinto Stato

La data non era stata scelta a caso. Il 14 aprile 1999, infatti, Massimo D'Alema compiva 50 anni. E proprio nel giorno del suo cinquantesimo compleanno si sarebbe aperto il quarto congresso del Partito Democratico della Sinistra. Un congresso per molti versi storico, non soltanto perché l'ultimo del secolo e del millennio, ma perché l'ultimo in assoluto. A meno di colpi di scena, per altro sempre possibili in politica, al termine di quel congresso il Pds avrebbe cessato di esistere, molto probabilmente per confluire nell'Ulivo e dare vita a un nuovo soggetto politico. In realtà avevano ragione quanti sostenevano che era l'Ulivo a confluire nel Pds, ma in fondo importava poco. Quello che contava era che il 4 aprile 1999 sarebbe iniziato l'ultimo congresso del più grande partito italiano.
Il Pds arrivava all' appuntamento dopo un dibattito vivacissimo ma composto. Niente di paragonabile a quanto era accaduto al congresso di Rimini il 3 febbraio 1991, quando il Pci aveva abbandonato vecchia sigla e vecchio simbolo per trasformarsi nel più moderno Partito Democratico della Sinistra. Nessun dramma, nessuna lacrima, nessuna spaccatura. Questa volta nessuno se ne sarebbe andato insomma, anche perché l'idea che da una sua costola potesse nascere il «Partito della Rifondazione Democratica della Sinistra» faceva proprio ridere i polli, andiamo.
Il partito si avvicinava così compatto alla probabile unificazione per diverse ragioni ma soprattutto perché compatto 1'aveva preteso il suo segretario Massimo D'Alema. Eppure nessuno, soltanto un anno prima, avrebbe potuto prevedere questa conclusione. Anzi, D'Alema si era sempre battuto contro il cosiddetto partito degli ulivisti. Poi era successo qualcosa, per l'esattezza il primo gennaio 1999 a San Francisco. Lì Massimo D'Alema aveva convocato una sessione dell'Internazionale Socialista, di cui era appena stato nominato presidente - con un solo voto contrario, non si sapeva di chi (ma Achille Occhetto si era indignato che si potesse anche lontanamente solo sospettare che quel voto non fosse il suo). Lì il vicepresidente del Consiglio Walter Veltroni si trovava in visita ufficiale, a nome del governo italiano, per assistere alla finale del Super Bowl che il giorno successivo avrebbe opposto, sul campo neutro dei Forty Niners, gli Autopsia di Buffalo e gli Estrema Unzione di Seattle. Per la verità c'era anche un motivo più personale che aveva spinto Veltroni fino in America: raccogliere altro materiale per chiudere finalmente la monumentale biografia alla quale stava lavorando da sei anni, quella di Sheraton Kennedy, la meno famosa e fortunata sorella gemella di Bob, che nel 1959 si era tolta la vita in un motel dell'Oregon con una dose da cavallo di gin-fizz e che, se fosse invece sopravvissuta, avrebbe certamente cambiato la storia democratica degli Stati Uniti e, di conseguenza, del mondo intero.
Erano le 6 di un freddo pomeriggio dell'inverno nord californiano, quando D'Alema e Veltroni entrarono al Caffè Vesuvio, proprio di fronte a City Lights Bookshop, la celebre libreria di Lawrence Ferlinghetti. Ad attenderli, seduti all'ultimo tavolino, su al primo piano, vicino alla vetrata dalla quale si intravedeva la targa di Kerouac Road, c'erano Tony Blair e Lionel Jospin. Strette di mano, abbracci, poi i quattro amici, dopo aver ordinato tre frozen Margarita e una Budweiser, si erano scambiati dei piccoli doni, dei pensieri più che altro. Blair aveva portato con sé, per Massimo e Lionel, un cd degli Oasis e uno delle Spice Girls, e un vinile di Mimmo Locasciulli live da Carnagie Hall per Walter (rarissimo perché Mimmo lì non c'era mai stato). Jospin aveva offerto a Massimo e Tony un cd di Brassens e uno dei Minìster A.M.E.R., e a Walter un 45 giri di Mimmo Locasciulli registrato durante un recital all'Olympia di Parigi (preziosissimo perché Locasciulli di recital non ne aveva mai fatti, figuriamoci all'Olympia!) D'Alema e Veltroni, quasi commossi, avevano ricambiato con un cd dal vivo di Antonello Venditti per Tony e, per Lionel, con Antonello Venditti dal vivo - in persona insomma - che tanto, se anche Venditti se ne fosse andato un po' in Francia, non è che la sinistra in Italia l'avrebbe considerata una irreparabile sconfitta.
Così, dopo aver accettato, pur schermendosi un po', l'offerta di presiedere la riunione, D'Alema aveva introdotto il dibattito più importante e misterioso, per la sinistra europea, di questo fine millennio. Importante perché, dopo quell'incontro, nulla della sinistra europea sarebbe più stato come prima. Misterioso visto che risultò subito impossibile stabilire con esattezza che cosa si fossero detti i tre leader dell'Internazionale socialista e il vicepresidente del Consiglio italiano nelle due ore di colloquio al Caffè Vesuvio. Chissà, magari potevano aver parlato di strategie europee, di rapporto coi comunisti di Bertinotti e di Cossutta, di banche centrali, di supremazia della politica, degli Estrema Unzione di Seattle che erano dati dai bookmaker 5 a 3 sugli Autopsia di Buffalo e che per Veltroni erano sopravvalutati almeno di un punto. Chissà. Forse ci sarà stata l'occasione per ricordare il passato, con conseguente commozione e brindisi allo scampato pericolo, ripensando cioè ai tempi in cui il socialismo (magia di una parola!) in Italia significava Craxi e Berlusconi, in Francia Bernard Tapie e Yves Montand, in Inghilterra Vanessa Redgrave e Franco Nero. Forse. Sicuramente a un certo punto avevano affrontato l'argomento centrale del loro incontro. Ma quale fosse realmente questo argomento non c'era stata e non c'era alcuna possibilità di saperlo con esattezza
L'unica cosa certa è che al termine della riunione Massimo D'Alema aveva cambiato idea riguardo al futuro del Pds ed era pronto a farla cambiare al suo partito. Colpa dei Margarita o merito del fascino del Caffè Vesuvio. Colpa di Veltroni o merito dell'aria brumosa di San Francisco, la città dei 49ers, i leggendari «Quarantanoviani» ai quali D'Alema si era sempre sentito di aderire per via della sua data di nascita. Colpa del fantasma di Locasciulli o merito del prestito di Venditti, fatto sta che quando era sceso, reggendosi al corrimano, dalla scala del Vesuvio Massimo D'Alema era pronto a sciogliere il Pds.
Fabrizio Rondolino, il suo portavoce personale, ricordava bene quel momento. Lui c'era, a San Francisco e anche al Caffè Vesuvio. Purtroppo non era salito al primo piano con il Segretario, il vicepresidente del Consiglio, Tony Blair e Lionel Jospin. Non gli era stato consentito di salire. Dunque era stato testimone di un evento che avrebbe cambiato la storia d'Italia, forse d'Europa, eppure di quello che era accaduto non sapeva nulla, nulla di più di un qualsiasi osservatore politico esterno. Questo non gli faceva piacere.
Seduto su una poltroncina del Palaeur deserto, all'interno del quale il giorno successivo si sarebbe inaugurato il quarto congresso del Pds, ripensava a quell' aperitivo in California tentando di darsi una spiegazione plausibile. Sullo sfondo, dietro al palco riservato alla direzione del partito, gli artisti dell'Hip Hop Spray Can Art Crew di Budrio stavano finendo di montare l'enorme pannello destinato a diventare il manifesto del congresso. L'idea era venuta a Walter Veltroni: ripensare il Quarto Stato a quasi un secolo di distanza. Partendo dalla storica tela di Giuseppe Pellizza da Volpedo, da quelle facce color della terra, da quei vestiti color della polvere, reinventarsi. una sfilata di uomini e di donne che dessero l'idea, alle soglie del 2000, di un grande movimento della sinistra. Di persone, belle persone, impegnate a manifestare il loro attaccamento a un ideale moderno e progressista che per questo però non perdesse di vista i propri riferimenti storico-sociali.
E avevano lavorato bene i grafici bolognesi. Il loro bozzetto del Quinto Stato aveva avuto l'approvazione personale del ministro della Cultura e anche il Segretario del partito, pur con qualche suggerimento di modifica, si era mostrato abbastanza soddisfatto. E, conoscendolo, non era poco.
Ora gli allestitori stavano montando proprio la sezione centrale del pannello, quella dove, nell'originale di Pellizza da Volpedo, è raffigurato il contadino col gilè e la giacca sulla spalla. Nel Quinto Stato invece c'era Romano Prodi in bicicletta con la giacca sulla spalla e Veltroni sulla canna. Poi, al posto della donna col bambino nudo in braccio, c'era Alba Parietti nuda col bambino in braccio alla baby-sitter. Per la verità, a ben guardare, Alba non era proprio nuda visto che calzava i roller-blade. Di fianco aveva Nanni Moretti in Vespa, Rutelli in motorino, Enrico Montesano su una Cherokee Limited TD, Fabio Fazio su una Nsu Prinz e Michele Serra su una trebbiatrice. Dietro di loro si vedevano nell' ordine: un malato cronico, un operaio di Brescia e un disoccupato del Sud; il premio Nobel Dario Fo con Franca Rame e una coppia di gay in divisa da carabiniere (uno straordinariamente rassomigliante a Diego Abatantuono, l'altro a Rosy Bindi. Il più effeminato era il primo); un obiettore di coscienza; un ambientalista; un sieropositivo; un pretore del lavoro; il Gabibbo; due neri: uno, incazzato, appena arrivato dal Ruanda; l'altro, felice, appena arrivato dalle Seychelles. Michele Santoro con la giacca e i jeans di Armani. Armani in mutande e canottiera che guardava Santoro come per dirgli: «Ma sei sicuro che quella giacca e quei jeans siano tuoi?» Poi uno studente con una faccia radiosa che guardava avanti, verso il futuro, sÌ, ma anche verso il culo della Parietti che era giusto davanti a lui e Stefano Bonaga, il filosofo bolognese un tempo compagno di Alba, che, imbarazzato, disapprovava visibilmente il look dell'ex fidanzata e sembrava pensare: che caduta di gusto quei roller-blade, andiamo.
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(tratto da Quinto Stato, Baldini&Castoldi editore, 1997)