Diego Armando Maradona
Diego Armando Maradona
(da Nomi d'oggi, ed. Tango, 1988)
Diego Armando Maradona nasce a Lanus, sulle rive del Paranà, in una povera e numerosa famiglia (come i Kennedy, per intenderci). Figlio di Giuseppe Plasmon e Nipiol Buitoni, Dieguito viene alla luce dopo 23 ore di lievitazione naturale. Scambiato dall'infermiera di turno per un pavesino con la permanente viene gettato in un cestino, ma Benino Zaccanini, un pediatra di Rosario, detto Zac a causa della personalissima tecnica chirurgica, lo raccoglie, lo massaggia e lo rimette dentro nel tentativo che cresca un po' in cottura. Invano. A 6 anni Maradona è talmente piccolo che il ciabattino deve rifargli il fondo della cartella almeno una volta alla settimana. La madre Nipiol, donna intelligente anche se qualche quintale sopra il peso forma, preoccupata per la statura del figlio chiede allora aiuto al compagno di banco di Dieguito, un commercialista dal nome impossibile: Cysterszpiler, che in argentino vuol dire Cysterszpiler, mentre in napoletano significa: «3 accendini 1000 lire». Ma a tranquillizzare la povera donna ci pensa un vecchio amico di famiglia, futuro allenatore del nostro, dal nome anche peggiore di Cysterszpiler, cioè Menotti che, combinazione, sia in argentino che in napoletano ha lo stesso significato: Menotti.
Passano gli anni e Diego cresce, almeno nell'affetto della sua famiglia. A prezzo di enormi sacrifici egli riesce anche a far studiare il padre, che diventa così guardalinee a pieni voti con una tesi su «Tarcisio Burnich: l'uomo, il suo pensiero».
Maradona ha solo 10 anni quando approda al sobborgo di La Paternal, ma ne dimostra molti meno. Forse 10mesi. E alto un metro e 10 (coi tacchetti) e ha 10 dita nelle mani e altrettante nei piedi. Insomma il 10 comincia a condizionare pesantemente la sua vita, tanto che l'impronunciabile Cysterzspiler gli fa assegnare la maglia numero 10 quando debutta nelle formazioni giovani, cioè le Ceballitas, che in Argentina vuol dire «cipolline», mentre a Napoli sarebbero i «pulcini», come se a metterli sott'olio fosse la stessa cosa. Dopo aver disputato ben 120 partite (10x10+10X2) senza sconfitte, Dieguito si guadagna il soprannome di Pibe de Oro, che non significa quel che pensate voi, bensì quel che pensano loro, ossia il Pivello d'Oro.
Intanto passano gli anni e dopo un periodo all'Argentina Juniors (1010 giorni) Maradona che ormai abitualmente veste la maglia numero 10 passa al Boca e gli fa vincere lo scudetto. In un solo campionato segna più gol di Beppe Savoldi e tocca più palle da solo che tutti gli italiani quando Cossiga fa gli auguri di buon anno.
Nel frattempo Maradona, nell'82, decide di lasciare l'Argentina. Si fanno avanti in molti per averlo, ma alla fine Dieguito sceglie la Spagna, Barcellona, soprattutto per questioni di lingua. La travagliata esperienza di Maradona al club «azul-grana» è destinata a concludersi la sera del 24-10-83. Sono le 10 e 10 di sera quando lo stopper dell'Atletico Bilbao, Andoni Goikoetxea, discepolo di Romeo Benetti e Prospero Gallinari, con un'azione esemplare riduce la gamba di Dieguito a una chichane.
Nei mesti giorni trascorsi nell'ospedale Maradona, sull'orlo della disperazione, non sa più a che santo votarsi. Si fa allora avanti San Gennaro con una lettera di presentazione di Ornar Sivori. I due parlano a lungo e di vari argomenti: dalla fede al problema basco, dalla superstizione alla monarchia illuminata. Alla fine concordano che per 15 miliardi si può fare.
Maradona sceglie così Napoli, soprattutto per questioni di lingua, e grazie alla sua visione spettacolare della vita (fa gol e figli da tutte le posizioni) porta la squadra al titolo di campione d'Italia 1986/87. Era dai tempi di Franceschiello che Napoli non aveva più un sovrano. Ora finalmente ce l'ha e se lo tiene ben stretto, anche se è piccolo. Il re è corto, viva il re!