Eldorado

Eldorado (1986-1987)

Regia di: Gabriele Salvatores.
Teatro dell’Elfo, Milano.
Scritto: a sei mani assieme a Gabriele Salvatores.
Con: Silvio Orlando, Gigio Alberti, Corinna Agustoni, Antonio Catania, Tonino Taiuti, Gianni Palladino, Luca Toracca.
Primo allestimento: alla Versiliana, luglio 1986.
Versione definitiva: a Udine e poi a Milano (autunno-inverno 1986-1987).
Copione originale consultabile presso il nostro archivio.

Descrizione


Si tratta di un lavoro su Shakespeare e sull’Utopia, una specie di work in progress spinto all’estremo, con una preparazione collettiva durante una vacanza-lavoro a Stromboli, dal 15 al 30 maggio dell’86. Il soggiorno ai piedi del vulcano fu straordinario, lo spettacolo che ne uscì, un po’ meno, certamente di minor efficacia rispetto a Comedians. Ma con delle cose, al suo interno, molto interessanti.
Il volantone-programma di sala riportava in copertina a tutta pagina una frase di Altan: “Dopo il gelo degli anni di piombo godiamoci il calduccio di questi anni di merda”.
Dallo stesso volantone riportiamo qui sotto il nostro contributo alla presentazione dello spettacolo.

a cura di
Gino & Michele

 

Contributo 
Che cos’è l’utopia?
(Tratto dal programma di sala)
 

Che cos’è l’utopia? E’ un paese ideale inesistente (ou = non, tòpos = luogo), e quindi un non-luogo o è un buon-luogo (eu-tòpos)? Immaginiamoci un mondo non tanto diverso dal nostro. Immaginiamoci un’ultima spiaggia. Immaginiamoci un muro. Dietro al muro c’è El Pays Dorado; il non-luogo, il buon-luogo. Davanti al muro ci siamo noi. Siamo Bastardi, Ciechi, Ladri, Attori, Re di noi stessi o forse siamo così Matti da crederci, all’Eldorado di Gino & Michele.

Il mondo che ci circonda, quello che sta al di qua del muro, è come una barzelletta vecchia che nessuno vuol più sentire. Non fa più ridere, qualcuno non ricorda neanche più il finale, altri si ingegnano a cercarvi finali diversi. Forse ritorneremo pesci, o forse lo siamo già: non comunichiamo più e quando ciò accade lo facciamo solo per scontrarci, ognuno seguendo il proprio pensiero.
Per assurdo c’è una sorta di filo sottile, che attraversa trasversalmente questa realtà quasi apocalittica: è una sorta della comicità della disperazione. Perché, come dice Beckett, “non c’è niente di più comico dell’infelicità”.
L’umorismo, malattia infantile del pessimismo, trova improvvisamente, davanti alle nostre miserie, una nuova dimensione. Una dimensione grottesca, forse, o più semplicemente fantastica. Tanto fantastica da sfiorare la realtà. Non c’è niente da ridere o al contrario c’è proprio da ridere davanti a noi “architetti” che ci arrendiamo di fronte a un muro o a noi ladri “ladri” resi docili dalle lusinghiere promesse di un baule che trasporta una donna per bagaglio. Lì davanti c’è sempre il muro. Nel baule c’è ora l’allettante certezza di “godersi il calduccio di questi anni di merda”. La scelta sembra ormai definita: un baule sicuro è meglio che un buon-luogo incerto. Una frase cara al movimento di dieci anni (o dieci secoli) fa era: “Se gli indichi la luna con un dito, lo scemo guarderà il dito”. Ma, scrisse qualcun altro “noi viviamo da scemi e qualche volta ci vengono in mente idee eccellenti”.
Per questo succederà davvero qualcosa davanti a quel muro. Qualcosa di prevedibile. A meno di essere ciechi.

di Gino & Michele