Gli imperatori dello stato libero di Zelig

Intervista a Gino, Michele e Giancarlo Bozzo pubblicata su Tivù nel dicembre 2010 

Un produttore con un credito da esigere, un'idea che tutti i direttori di rete - in Rai come in Mediaset - avevano fatto a gara a bocciare, un piccolo cabaret della periferia milanese da salvare dal fallimento e una squadra di big della risata che si mette insieme per soccorrerlo.

Accade così che le vie della televisione, come quelle del Signore, si rivelino infinite e un'iniziativa che sembrava disperata si trasformi in un programma di successo, in un locale in viale Monza 140 a Milano che - raccogliendo l'eredità del glorioso Derby - ha superato in 25 anni il proprio modello, dia vita a un'agenzia di spettacolo, Bananas (produzione dello show, gestione del locale, management, tour, Dvd), che nell'ultimo anno stima di fatturare 12mln di euro. Al vertice di tutto questo, due uomini - Gino Vignali e Michele Mozzati (Gino&Michele, una coppia di battuta e - quasi - di fatto da 35 anni) - più uno, Giancarlo Bozzo, con soci di altrettanto lustro come la Gialappa's band, Lella Costa, Paolo Rossi, Antonio Albanese, Claudio Bisio, Aldo, Giovanni, Giacomo, Giobbe Covatta, Dario Vergassola, Raul Cremona, Enrico Bertolino. Perché quello di Zelig è diventato un vero e proprio sistema che sforna ogni anno, attraverso i suoi laboratori sparsi nel Paese, decine di comici o aspiranti tali che transitano nella seconda serata di Italia 1, a Zelif off e, i più bravi, in prime time su Canale 5. il primo vero talent show di matrice tutta italiana, che in 13 anni ha lanciato e continua a lanciare il meglio della comicità, da Geppi Cucciari a Checco Zalone, da Ale&Franz a Ficarra&Picone, e poi Maurizio Milani, Leonardo Manera, Paolo Cevoli, Flavio Oreglio, Teresa Mannino, Antonio Cornacchione. Si aggiunga che l'edizione che si appresta ad aprire i battenti del teatro Arcimboldi da metà gennaio, per 10 settimane, si profila come una delle più attese, vista l'aspettativa creatasi intorno all'ingresso della brava Paola Cortellesi a fianco del sempiterno Bisio, nel ruolo ricoperto in passato con onore e gloria da Michelle Hunziker e Vanessa Incontrada. Forti di ciò, e delle 10 serate su 10 vinte la scorsa stagione con una media superiore ai 6mln di spettatori (oltre il 24% di share), i listini 2011 di Publitalia collocano gli spazi del programma nella fascia top price della stagione. Una sorta di manna, di benedizione televisiva che fa il paio col proprio nome (Zelig in Yiddish vuol dire "benedetto") e mantiene un forte debito di riconoscenza nei confronti del suo nume tutelare, Woody Allen (oltre a ispirarsi al suo film per dare il nome al locale, sempre in suo onore Gino&Michele hanno chiamato Bananas la società e Kowalski la loro ex casa editrice). Per capire che aria tira intorno all'edizione imminente, Tivù ha incontrato i tre boss del programma per un'intervista un tantino sui generis, che inizia con Gino che fa battute sarcastiche sulla canzone che Claudio Bisio e Paola Cortellesi minacciano di voler portare a Sanremo, nonché sui tassisti milanesi che si ostinano a guardare la tv mentre guidano; Bozzo che si lancia in domande marzullesche sui rischi che la Sampdoria retroceda in serie B; Michele, tra l'indolenzito e il dolorante per un intervento alla schiena, che interviene su tutto cogliendo l'occasione di mostrare la pesante radio che si porta nello zaino. Com'è facile immaginare, il clima è tutt'altro che paludato tant'è che nel testo abbiamo dovuto escludere - per ragioni di spazio - molte delle freddure e battute che i tre hanno lanciato a raffica.

"Zelig" ha 13 anni, ma in tv ha iniziato prima. Nel '96.

Bozzo: In realtà non era proprio Zelig, ma i festeggiamenti per i primi 10 annidi attività del locale. Si chiamava Buon compleanno Zelig, e aveva un bravissimo conduttore: io.
Gino: Pensi un po' come eravamo ridotti...Quella trasmissione ebbe un cast che nessuna rete oggi potrebbe permettersi: Ligabue, Littizzetto, Bisio, Albanese, Paolo Rossi, Aldo, Giovanni, Giacomo ed Elio e le storie tese. Parteciparono tutti gratis perché il locale non aveva più neanche i soldi per pagare i camerieri.
Bozzo: Erano due puntate registrate in una sola sera, ogni volta che uscivo sul palco avevo una giacca diversa, i capelli lunghi.
Gino: La Gialappa's lo massacrava. Il tormentone era che fosse il Carlo Conti dei poveri.
Bozzo: E dire che quella trasmissione che diede l'avvio fu fatta solo perché ce ne diede l'opportunità un produttore che aveva un credito con Italia 1, il quale ci propose di fare un programma. Gino e Michele allora erano ancora in Rai, per cui gli autori fummo io e Marco Posani.
Michele: In realtà con Gino avevamo iniziato a fare televisione molti anni prima, per Ricci, e più volte avevamo proposto di portare in tv il cabaret di Zelig.

Proposto a chi?

Michele: A tutti i direttori Mediaset e Rai, eccetto Rai Uno. Ci dicevano che era una bella idea, ma al secondo incontro ci mettevano a disposizione uno studio dove fare esibire i comici. Segno che non avevano capito che occorreva uscire, venire allo Zelig, dando al pubblico l'impressione di poter curiosare tra quanto succede in un cabaret e facendo una trasmissione in cui si dava anche ai comici l'impressione di lavorare nel loro ambiente. Quella reazione tuttavia era comprensibile: il televisivo puro pensa allo studio, in sostanza alla tv moderna, mentre noi proponevamo di fare un salto indietro, verso i grandi teatri romani del varietà. Un modello la cui nascita - per assurdo - ha coinciso con la prima trasmissione a cui Gino e io abbiamo partecipato, Drive in. Un programma costruito pezzo dopo pezzo, in studio, quasi in provetta, dove il pubblico era uno dei figuranti. Sarebbe come dire che da un lato abbiamo partecipato alla morte della tv dal vivo, e che dopo qualche anno siamo riusciti a rianimarla.

Questa vostra intenzione di stanare la tv dallo studio, risultava un concetto per loro troppo elaborato?

Gino: Semplicemente assecondavano il modello di Drive in, e di altre trasmissioni di successo. In effetti, televisivamente parlando, intuire che potesse funzionare uno spettacolo ambientato in uno spazio piccolo come lo Zelig, era difficile.
Michele: La perplessità nascevano anche dal fatto che nel progetto i televisivi puri vedevano poca tv. Si trattava di una semplice ripresa di un evento al pari di una partita di calcio o di un concerto, non di una trasmissione strutturata. Il che è vero solo in apparenza, perché nel tempo il successo di Zelig è attribuibile anche al fatto di far sembrare casuale quanto invece è studiato, anche dal punto di vista televisivo.
Bozzo: Alla fine siamo riusciti a sviluppare il progetto così come lo avevamo immaginato.
Michele: Merito anche dell'allora direttore di Italia 1, Giorgio Gori, che ne aveva intuito le potenzialità malgrado non avessimo fatto subito ascolti pazzeschi.
Gino: ...anche se Gori...
Bozzo: Zitto, non fare il traditore, anche se va di moda.
Gino: In riferimento a quanto detto prima sui televisivi, fu proprio Gori a voler inserire a tutti i costi personaggi più televisivi. Ecco, quella del '99 - la seconda edizione con alla conduzione Simona Ventura - fu la più ibrida, la meno rigorosa, la meno nostra.
Bozzo: Ma quel tentativo ci è comunque servito a capire cosa non bisognava più fare.
Michele: Soprattutto è stata la conferma di una nostra convinzione, che il comico - soprattutto se di cabaret - è come un animale selvaggio e non lo si può chiudere in uno zoo per mostrarlo al pubblico. Ma non puoi neanche portare i bambini in Africa per far loro ammirare quanto siano belli i leoni. Allora abbiamo pensato a una via di mezzo, lo zoo safari. Ecco, Zelig è come lasciare i comici nel loro ambiente naturale senza violentarli troppo.

Saranno contenti i comici di essere paragonati agli animali.

Gino: Beh, il leone è una bella immagine.
Michele: Ma ci sono anche i comici scimmia.
Bozzo: Io ho visto pure qualche comico capra.
Michele: Il nostro merito sta nell'aver intuito che l'ibrido tra tv e teatro era il modo migliore per tradire il meno possibile l'artista e il pubblico: il comico lavora per la tv con le telecamere, senza quasi mai guardarle, rivolgendosi a un pubblico di 2.200 perone paganti, che si sono impegnate a trovare i biglietti e che quando vengono pretendono di divertirsi.
Gino: Il che non è solo una pretesa, ma anche una disponibilità: quelli che non pagano si piazzano in platea e sembrano dirti: "sono qui, adesso fammi ridere".

Tutti e tre siete al timone di "Zelig". Chi fa cosa?

Gino: Giancarlo tiene storicamente i rapporti con i comici, è a capo dei laboratori che stanno dietro a Zelig e degli autori. Michele è una specie di critico: è il nostro Gianni Letta, che tiene i rapporti con le istituzioni, i media. Io invece sono quello che briga con i numeri, le scalette, i tempi.
Bozzo: Ma sono non ruoli rigidi, spesso intercambiabili. Anche perché la direzione artistica è curata da tutti e tre.
Michele: Va anche aggiunto che ci accomuna un'altra componente: siamo tutti e tre dei sex symbol.

Si vede...

Bozzo: Può scriverlo?
Gino: Mi viene in mente una vecchia battuta: "Hai presente quello sguardo che ti mandano le donne quando vogliono fare sesso?"
Bozzo: No.
Gino: Neanch'io!

Per quanto riguarda il reclutamento dei comici, avete una decina di laboratori sparsi sul territorio nazionale. E gli autori?

Bozzo: Arrivano anch'essi dai laboratori. Con noi lavorano una quindicina di autori, alcuni hanno una provenienza autonoma, come Rocco Tanica o Andreotti che arrivano con Paola, altri invece, come Testini, hanno una provenienza più televisiva. L'80% di loro è nato allo stesso modo in cui sono nati i comici che poi hanno debuttato prima a Zelig off e poi a Zelig.
Gino: E' interessante approfondire i numeri del movimento che sta dietro al prodotto finale. Se prendiamo l'edizione 2010 di Zelig off, in 10 puntate si sono alternati una quarantina di comici, 25 dei quali assoluti debuttanti in tv. Di questi, 7-8 saranno promossi in prima serata a gennaio. Se si moltiplicano questi dati per i 13 anni da cui esiste il programma si ha un'idea del volume di artisti che abbiamo mosso: sono quasi 300 i comici che sono saliti sul palco di Zelig off e che quindi abbiano avuto una visibilità televisiva. Di questi 200/300, parecchi - non tutti - sono passati in prima serata, avendo una grande popolarità, molti dei quali poi sono diventati veramente famosi.
Bozzo: Tenga anche conto che, a monte, a ogni laboratorio partecipano in media 250 comici.

Si sa che voi siete autori di teatro, radio, cabaret, libri, anche di cinema. Ma, a parte "Zelig", avete nel vostro curriculum un bel po' di programmi come "Drive in", "Matrioska", "Vicini di casa", "L'araba fenice", "Su a testa" ed "Emilio". Eppure non vi considerate autori televisivi. Perché?

Gino: Un vero autore tv sa fare qualsiasi televisione. Noi invece sappiamo fare bene un solo tipo, che è quello che facciamo. Non so se saremmo capaci di fare una trasmissione in studio.
Michele: Sì che la sapremmo fare...
Gino: Però non con il cuore, senza crederci, e questo si noterebbe.
Michele: In realtà, i titoli che ha citato non sono tanti. Solo tre sono nostri (Zelig, Su la testa, Vicini di casa), il resto erano progetti di Antonio Ricci o di Zuzzurro&Gaspare, ai quali partecipavamo come autori. È lì che ci siamo formati in senso critico: abbiamo capito che quella era una tv straordinaria, ma che c'entrava poco con noi. Da lì, poi, la scelta di fare altro sapendo però anche fare il resto.

Eppure voi state a "Zelig" come Ricci sta a "Striscia" e Parenti a "Le iene". Non è che c'è un po' di snobismo? Oggi molti - pur facendo tv - dicono di non sentirsi televisivi.

Michele: Non è questione di snobismo, ma di storia personale. Noi arriviamo alla tv da un altro percorso. Ricci ci chiamò a Drive in perché eravamo popolari per le cose che scrivevamo o che facevamo in radio.
Gino: Anche Giancarlo non nasce come autore televisivo, bensì come inventore e gestore di una realtà teatrale.

Gregorio Paolini ha scritto che "l'autore comico deve essere paziente, pazientissimo, una figura paterna, rassicurante, piena di buone parole e ottimismo per il comico, che quasi sempre è depresso". Vi riconoscete?

Michele: Parzialmente. L'autore comico deve saper scrivere di comicità, conoscere molto bene gli altri autori che lavorano con lui e i comici e, soprattutto, essere un po' psicologo. Perché il rischio maggiore che si corre facendo una trasmissione come la nostra è prendere un ragazzo, con poca o tanta esperienza, portarlo in una città che magari non conosce e sbatterlo sul palco con un pubblico che - se è bravo - lo incita e lo osanna. Passo le notti a spiegare loro come comportarsi, perché quello del successo è un momento delicato, come per i calciatori: può scattarti il trip e ti senti la persona più importante del mondo. E invece è a quel punto che le cose si complicano. Quindi, se sei un po' psicologo e hai fatto tesoro della tua storia, riesci a trovare le chiavi per proteggere i Balotelli della comicità e portarli al ruolo che loro compete. Se invece si perdono, non sei stato un bravo allenatore.

E infatti a Natalia Aspesi avete detto che "nei giovani che aspirano a diventare comici c'è stata un'evoluzione del gusto, la voglia di arrivare subito alla fama e ai soldi della tv, quindi meno coraggio, meno incoscienza, meno profondità, più conformismo". Sembra la descrizione dei concorrenti del "Grande fratello"...

Bozzo: E invece è un tratto che corrisponde anche al modo di presentarsi di molti aspiranti comici. Quando facciamo i provini vediamo di tutto. Per fortuna i laboratori sono un antidoto, un filtro, perché lì si deve lavorare, affinare il talento, capire come stare sul palco. E questa è una coscienza che passa in tutti quelli che vengono da noi, perché altrimenti è impossibile fare questo lavoro. Non c'è altro modo.

Anche perché "Zelig" è nei fatti il primo vero talent show della tv italiana. Con una tenuta media per artista di gran lunga superiore a quella di chiunque altro.

Michele: Quando incontriamo gli aspiranti comici, ovviamente, ci rendiamo conto delle potenzialità o meno del loro talento, del respiro che esso può avere. In alcuni vediamo delle intuizioni che però hanno la data di scadenza sulla confezione, vedi le Tutine. A loro diciamo che li seguiamo, che possiamo magari esserci utili a vicenda, dopodiché di pensare a investire la loro popolarità e i soldi fatti con le serate in qualcos'altro. C'è poi la seconda categoria,  quella che ti accorgi subito di avere a che fare con un comico di razza, come Checco Zalone. A seconda della categoria di appartenenza, dobbiamo muoverci in maniera differente.
Bozzo: È una situazione che si ripropone ogni anno, per cui ci troviamo a "incasellare" in maniera diversa i vari comici all'interno di tutto l'insieme. Si tratta di una pratica abbastanza difficile.

In questi anni il programma è decisamente cambiato.  Di solito si ride e si fa ridere in maniera diversa, oppure è un eterno ritorno?

Bozzo: Rispetto agli inizi ci sono cose completamente diverse, da una parte  il ritmo in certi momenti è aumentato - con più disturbi, più battute -, dall'altra siamo andati privilegiando un tipo di comici - i monologhisti, lo stand up alla milanese - che meglio ci rappresenta. 
Gino: Si è trattato di una scelta artistica, dovuta al passaggio dal cabaret al tendone e poi al teatro. La fase di Zelig del tendone era molto legata alle edizioni del locale, ricche di talenti ma che aveva spunti più televisivi. Come i tormentoni - per intenderci, "Chi è Tatiana", "Attentato", "Ce la fai, sei connesso?" oppure "Franco o Franco" - a cui la trasmissione deve certa parte del suo successo pop, ma che alla lunga erano diventati dei ping pong insopportabili col pubblico.
Michele: A essere rimasto inalterato è lo spirito del programma, e soprattutto Bisio è sempre Bisio! Un altro segreto è avere le orecchie sintonizzate sulla platea, perché noi sappiamo di avere fatto una buona puntata o meno non quando riceviamo i dati Auditel, dopo la messa in onda, ma quando vediamo come se ne va il pubblico dal teatro.

Avete sempre sottolineato di non aver subito censure da parte della rete, eppure si è detto che avete dovuto faticare per mandare in onda la canzone di Checco Zalone sulla D'Addario.

Michele: La presero molto alla lontana: dopo aver visionato la puntata ci dissero, "siete proprio sicuri?", ma non ci fu nessuno che si vestì da direttore generale Rai per dire "No, questa cosa non si può fare". Al che noi rispondemmo di sì.
Bozzo: In quel caso dimostrarono una grande apertura, perché era un testo pesante da mandare in onda.

Paragonabile, per ferocia, a certe uscite anti Bush e Sarah Palin di Letterman.

Gino: Vero, solo che negli USA c'è una diversa sensibilità: sanno che la satira può dire qualsiasi cosa, tanto non cadono i governi per una vignetta o una battuta. Da noi invece si confondono i ruoli e si finisce che agli scrittori come Saviano si chiede di fare politica.

È per questo che molti da noi tentano di fare il "Letterman Show" senza riuscirci? O è più una questione di capacità?

Gino: Il fatto è che in generale c'è un vuoto talmente grande in politica, soprattutto nell'opposizione, che la gente identifica nei propri punti fermi artistici anche i propri riferimenti politici.
Bozzo: E poi mancano gli spazi, perché non è che le reti facciano a pugni per avere un programma così provocatorio. Luttazzi c'era riuscito, ma poi si è visto com'è finita. Se vuoi sperimentare, al massimo puoi rivolgerti al Comedy Central. Per il resto, molti si ispirano a Letterman, la Dandini, Chiambretti, Fazio, ma da noi non c'è una figura di comico che abbia altrettanta autorevolezza ed eleganza.

Avete definito "Zelig" un varietà moderno. Eppure Enrico Vaime, proprio a "Tivù" ha dichiarato che il varietà è morto per consunzione, "se n'è andato senza un lamento".

Michele: Vaime, che è un maestro da cui abbiamo solo da imparare, forse è un po' pessimista. Noi siamo invece convinti che il varietà non sia morto, che si sia solo evoluto in quello che stiamo facendo noi, ma non perché siamo più bravi degli altri, bensì perché abbiamo avuto la fortuna di sperimentare anche la vecchia formula: conosciamo Studio uno, lo abbiamo visto, non ne abbiamo sentito solo parlare come le nuove generazioni. Siamo stati fortunati perché apparteniamo a una generazione che ha usato a scuola il calamaio e la carta carbone, e oggi è passata all'iPhone. Ed è proprio questa attitudine alla "rincorsa" a tranquillizzarci per il fatto di essere riusciti a non perdere il filo che ci unisce alla storia del varietà
Bozzo: Quindi alla domanda sulla morte del varietà non si può che rispondere invece che Zelig è vivo e lotta insieme a noi.

Cosa pensate delle altre trasmissioni che, strada facendo, hanno copiato l'impianto di "Zelig"? Ormai siete quasi come "La settimana enigmistica".

Michele: Con sette canali generalisti e decine di reti digitali, c'è posto per più proposte. L'importante per il pubblico è che queste abbiano un senso. In più sono contento che così possano trovare spazio anche i comici che non lavorano con noi.

Buonista...

Bozzo: Ma è così! È inevitabile che Zelig sia diventato un punto di riferimento anche per i direttori di rete che aspirano ad avere una trasmissione come la nostra. A noi non è dispiaciuto che Carlo Conti abbia fatto Aria fresca su RaiUno, ma anche quelli di Colorado sono bravi a far evolvere la proposta: la prima edizione era una fotocopia esatta della nostra. Oggi è diversa, con un target molto più giovane e con comici poco sovrapponibili ai nostri.

Da ex editori, avrete certamente seguito la polemica del teologo Vito Mancuso su Mondadori. Qualcuno dice che dovrebbe valere anche per Mediaset, visto che le reti di Berlusconi sarebbero avvantaggiate dal conflitto di interessi. Da ex comunisti, o presunti tali, ritenete che ci sia del manicheismo in ciò o che ci sia del vero?

Gino: La penso come Saviano che scrive per Mondadori. Detto questo, io ho bisogno di un posto che mi faccia lavorare secondo i miei criteri artistici e umani. Certo, se se potessi andare a votare a bracceto con il mio editore sarei contento, ma a oggi è stata solo Mediaset a consentirmi di lavorare secondo le mie esigenze. Dopodiché le mie idee non le ho mai nascoste, né dentro Mediaset né fuori, e non  le ho mai cambiate.
Bozzo: Quando, ai tempi di Feccero,avevamo cominciato a discutere il passaggio in Rai, all'ultimo momento saltò fuori che saremmo stati un contorno. Allora è chiaro che rimani con chi ti consente di fare bene il tuo lavoro.
Gino: Scorporando il discorso Berlusconi, dal punto di vista professionale non c'è paragone: la Rai ha una storia completamente diversa, è un'azienda gigantesca che sta a Roma. Mediaset invece è a Cologno Monzese, e vi lavorano molte persone più simili alla nostra storia e alla nostra sensibilità. Con Mediaset c'è un rapporto che dura da 25 anni - se si esclude l'intermezzo di Su la testa - e in tutto questo tempo l'unica censura che abbiamo avuto è su una battuta di Gene Gnocchi: "A Milano 3 ci sono delle zanzare così grosse che quando c'è la nebbia le fanno atterrare a Malpensa!". E siccome avevano grande difficoltà a vendere gli appartamenti il direttore non gradì. Andrea Camilleri, che non è certo un berlusconiano, quando gli è stato chiesto come mai pubblica anche con Mondadori, ha risposto: "Quando ho mal di testa o l'influenza prendo l'aspirina, ma non mi chiedo chi fa l'aspirina. Se lo facessi scoprirei che la fa la Bayer, la stessa che in Germania costruì i forni crematori. Ma se io ho l'influenza e l'aspirina è un buon prodotto, non sto a farmi domande". Anch'io ogni giorno prendo la cardioaspirina, senza per questo sentirmi un nazista...

Avete citato il raffronto Roma-Milano. Esiste tra le due città un modo diverso di fare televisione?

Michele: Esiste un modo diverso di fare spettacolo tra Milano, Roma, Napoli, Firenze... Con la differenza che Milano, lo dico a voce alta nonostante i mille limiti, è una metropoli che sa di poter sopravvive solo se assorbe le culture che vengono dall'esterno e le rielabora dando loro visibilità. Di questo è fatta anche la storia del cabaret milanese. Invece a Napoli c'è il comico napoletano, il cinema napoletano, a Roma se non finisci con le parole tronche non fai ridere. Sono cose che rispetto moltissimo, ma credo che la televisione o il cinema a livello nazionale dovrebbero lavorare più con questo spirito milanese. Ovviamente non c'è nessuna rivalità da parte nostra e neanche presunzione, ma - da buon milanese - so che gli ultimi 200 anni della nostra storia hanno insegnato alla città che per vivere abbiamo bisogno degli altri.
Bozzo: Non sarei così ottimista sull'apertura culturale di Milano, mentre più che di un modo di fare televisione a Milano, parlerei del fatto che oggi a Milano ci sono alcune persone che fanno un certo tipo di programmi, le cui caratteristiche dipendono dalla loro formazione e non dalla città in cui li producono.

Quando arriverà il momento, come vi renderete conto che "Zelig" sarà giunto al capolinea? Sarà una questione di auditel?

Gino: Ma quel momento non arriverà mai! Di sicuro, quando ci guarderemo in faccia e ci diremo: "Cavolo, anche quest'anno dobbiamo ricominciare...!", allora sarà arrivato il momento di smettere.
Michele: Finché continueremo a divertirci, non smetteremo.

Suona retorica come risposta...

Bozzo: Sembrerà retorica, ma è vera.