Questa Milano da bere - Porta Vittoria

Questa Milano da bere - Porta Vittoria

 

Porta Vittoria
(da Saigon era Disneyland in confronto, Baldini e Castoldi, 1991)

Porta Vittoria, a Milano, era un quartiere-immagine. Di quelli in cui la città si specchia, nel bene e nel male. Un quartiere per la maggior parte piccolo borghese con la gen­te che andava a lavorare in tram per pagare l'università ai figli cresciuti negli oratori e la dote alle figlie da portare al matrimonio illibate. Se poi i figli scantonavano in perito tecnico e le figlie arrivavano in chiesa con abiti candidi ma eccessivamente vaporosi per celare pance in crescita, l'im­portante era che tutto ufficialmente si compisse nella rego­la, secondo i dettami di una antica tradizione metropolita­na fatta di tinelli comodi e di portinaie accomodanti. In Porta Vittoria c'erano una quarantina di latterie-ritro­vo con i flipper; qualche centinaio di case inizio secolo, al­cune delle quali in buon liberty; una stazione delle corriere che portava in città le cameriere di Crema con le teste coto­nate e le prime minigonne; cinque vespasiani verdi con sie­pe annessa; zero licei; due o tre parrocchie con campi di cal­cio a sette; una fabbrica del Motta dove si potevano andare a comprare a metà prezzo i ciocorì venuti male; una stazio­ne ferroviaria dalla quale partivano i treni per Lourdes; un ortomercato pieno di facchini pugliesi che si facevano un culo così; due monumenti tra i più brutti mai visti: un obeli­sco in piazza Cinque Giornate con cripta annessa stipata di teschi (bisognava andare con la scuola a visitare le ossa dei patrioti del Risorgimento tra il18 e il 22 marzo) e un uomo nudo alto tre metri in piazza Grandi. L'uomo nudo, gigan­tesco e primitivo, con tanto di foglia di fico a salvaguardia del moralismo autoctono, guardava una specie di cascatella d'acqua (e la guarda ancora), inebetito - o almeno questo era l'intento dell'artista - dalla scoperta della natura.
Le ragazzine curiose passavano, giocando, tra le gambe di bronzo dell'enorme statua e buttavano l'occhio per vedere cosa c'era sotto la foglia di fico. Ma dato che sotto la foglia di fico non c'era niente, per loro restava ben poco da inebetirsi alla scoperta della natura. Poi si capisce perché le ragazze restavano incinte: andava a finire che sapevano assolutamente tutto sulle foglie di fico ma assolutamente niente sul resto.
Questa era Porta Vittoria prima che Milano diventasse una città «europea». Adesso Porta Vittoria è il quartiere del non-centro più vicino al centro, le case inizio secolo costano otto milioni al metroquadro; le quaranta latterie sono diventate gelaterie sedicenti ecologiche (ma perché ecologiche? vuoi dire che prima i gelati li facevano con la merda?); la Motta ha chiuso (se a Natale vuoi mangiare un panettone normale, senza creme e farciture, devi andare a comprarlo a Quarto Oggiaro: a Porta Vittoria trovi solo panettoni elaborati da grandi chef; le pasticcerie hanno fuori a difenderle le guardie giurate: se rubano un uovo di cioccolato va via un milione); la stazione delle ferrovie sta per essere sostituita dalla nuova università (a Lourdes ci vanno in aereo); l'ortomercato (si chiamava Mercato Ortoflorofrutticolo e chi abitava in Porta Vittoria si distingueva dagli altri perché lo sapeva pronunciare giusto) ha lasciato lo spazio a un parco con monumento ai Marinai d'Italia (naturalmente i marinai non c'entrano niente con i tinelli e le portinaie, ma questo è il bello delle città «europee»). Restano l'obelisco (restaurato così bene che non si capisce) e l'uomo nudo (con scritte clandestine spray sul culo). In più ci sono: panettieri con le vetrine in legno chiaro e dai nomi fantasiosi («Nonsolopane» impazza, ma fanno la loro bella figura anche «El prestinée», «Frumens», «Farina Giusta», ecc.); ortolani pieni di piantine di cerfoglio, estratti di mango e susine australiane in dicembre (i kiwi te li danno di resto); fotomodelle americane di sedici anni con la narice tremula; architetti socialisti con conviventi piene di fuoristrada; conviventi socialiste piene di architetti con la narice tremula; fuoristrada tremule piene di fotomodelle socialiste; donne emancipate in bicicletta e tailleurino che si trovano all'ora dell'aperitivo con agenti pubblicitari berlusconiani montanti motorini giapponesi con telefoni incorporati; agenti giapponesi con motorini berlusconiani montanti lasciamo perdere chi; eccetera, eccetera ... Come una volta, Porta Vittoria resta lo specchio di Milano, un tempo città piccolo borghese, oggi metropoli di parvenu. Intanto Porta Vittoria si rifà il lifting in attesa del '92, quando arriveranno i giapponesi, questa volta in massa, e Milano sarà finalmente europea, così europea da sembrare Tokyo da giovane.
«Stiamo lavorando per voi», dice la scritta della megalopoli proiettata nel futuro ... Al lunedì mattina alle otto incominciano a trapanare. Aprono il selciato e rifanno le tubature del metano. Alla sera ricoprono. Al martedì mattina riaprono il selciato e rifanno le tubature dell'acqua potabile. Alla sera ricoprono. Al mercoledì mattina trapanano, riaprono lo stesso selciato e mettono le centraline della Sip. Alla sera chiudono. Al giovedì mattina riaprono il selciato e rifanno le fognature. Alla sera richiudono. Al venerdì ridipingono gli stop e i passaggi pedonali. Al venerdì sera lavaggio strade. Al sabato, quando finalmente le auto che girano in tondo da una settimana potrebbero finalmente posteggiare, niente: c'è il mercato. Alla domenica silenzio. Però qualcuno trama nell'ombra e telefona che lavando le strade l'acqua si è infiltrata nelle tubature del metano. Allora il lunedì mattina: trapano. Ritirano su tutto, riaprono le tubature del metano e richiudono. Ma il martedì telefonano che spostando l'ambaradan, le tubature delle fogne si sono inserite in quelle dell'acqua potabile: la gente se ne è accorta perché l'acqua era più buona del solito ... Riparano e richiudono. E così il mercoledì e il giovedì, con tutto un intersecarsi di tubi tale che quando uno tira su la cornetta c'è odor di metano, quando tira su la doccia si sente la filodiffusione, e quando apre il gas parla con Parigi, uno scatto al secondo ... Finalmente arriva il venerdì col lavaggio stra¬de e il ritiro della spazzatura. Rigorosamente nell'ordine, ovviamente, cioè prima lavano e poi ritirano. Con tutti i sacchi della spazzatura belli mollicci per strada e una puzza pazzesca per tutto il quartiere. Però almeno non si sente più l'odore di metano. Il sabato dovrebbe esserci il mercato. Ma qualcuno si accorge che a furia di aprire e chiudere hanno dimenticato dentro il Bisturi. Carletto Bisturi, operaio dell'Azienda Elettrica. Lo salvano per un pelo, anche se si dispera di potergli togliere tutto quell'odore di metano di dosso.

 

Però adesso il mercato, con tutto quel casino, non si può più fare. Meglio così: Porta Vittoria è diventato un quartiere moderno al passo con l'Europa, e Jean Pierre l'Ortolano (quello delle piantine di cerfoglio) senza più il mercato può stare tranquillo. Tra dieci anni, se va avanti così, Giò Pomodoro, lo scultore che fa le statue che girano (ma le statue, per loro natura, non dovrebbero star ferme?) gli farà una statua nel bel mezzo di corso XXII marzo, come uomo simbolo della Milano del 2000. Un enorme uomo nudo di bronzo con due susine che girano. E per un ortolano, anche se si fa chiamare Jean Pierre, farsi fare una statua da uno che si chiama (davvero) Pomodoro, è il massimo.