Il futuro della tv è la radio

Il futuro della tv è la radio

Venerdì 12 maggio 2006 si è tenuto a Roma un interessante convegno organizzato da Maurizio Costanzo per RTI: E adesso? – I prossimi cinquant’anni della televisione
Il tema era allettante, e seppur unici creativi tra i tanti e accreditati relatori, abbiamo accettato l’invito.
Il nostro ovviamente, è stato l’intervento meno “tecnico”. Ci siamo limitati a illustrare la nostra esperienza di questi anni come autori televisivi, la qual cosa ci ha avvantaggiati molto…
Anche per soddisfare le richieste numerose dei presenti, riportiamo qui il testo del nostro contributo.

 

IL FUTURO DELLA TV E’ LA RADIO
di Gino & Michele

 

“Il futuro della tv è la radio”. E’ una nostra vecchia battuta, però a pensarci bene rispecchia quel che crediamo, rispetto non solo alla televisione ma al progresso, inteso come scientifico-tecnologico, in generale.
Una premessa. La nostra generazione (siamo del 1950, per capirci) è figlia della carta carbone e del duplex. Quando eravamo ragazzini per telefonare dovevamo metterci d’accordo col vicino che aveva la nostra stessa linea e fare a turno (e guai se in quella famiglia c’era una ragazzina in età da primo amore). Quando abbiamo iniziato a lavorare (anche se pare incredibile, abbiamo lavorato anche noi) le segretarie battevano a macchina usando fino 3-4 fogli di carta carbone per le copie.
Da allora a oggi abbiamo attraversato 100 rivoluzioni tecnologiche: dalle fotocopiatrici ai fax, dal bancomat al computer, dai vhs ai dvd, dai telefoni cellulari all’i-pod, dalle e-mail ai navigatori satellitari, per accennare solo a quelle che sono diventate parte integrante delle nostre abitudini. In sostanza non ci siamo mai sottratti al progresso, anzi. Eppure…
Eppure siamo convinti che ogni tanto, non sempre, ma ogni tanto, guardare al passato, anzi incatenarsi al passato, sia la vera rivoluzione. Il futuro della tv è la radio appunto. Dan Spencer, un grande comico americano, una volta ha detto: “C’è un canale tematico sulla tv via cavo dedicato totalmente alle previsioni del tempo: 24 ore di osservazioni meteorologiche. Avevamo qualcosa di simile anche durante la mia infanzia. Si chiamava finestra”. La morale, ammesso che ci sia una morale, è che va bene, prima di partire per un week end, guardare Sky meteo, però un’occhiatina fuori dalla finestra forse qualche garanzia in più ce la dà.
Il futuro della tv è la radio. Andare al futuro guardando il passato, le radici, l’origine. Siamo qui a parlare dei prossimi 50 anni di televisione e dobbiamo per forza di cose aggrapparci alla nostra esperienza di autori televisivi. Abbiamo firmato la prima trasmissione nel 1981, quest’anno festeggiamo perciò le nozze d’argento con la televisione. In questo quarto di secolo dietro le quinte abbiamo visto cose che voi umani non potete neppure immaginare. Siamo stati corresponsabili, o responsabili in toto di parecchie trasmissioni, alcune delle quali sicuramente appartengono alla storia della tv: da Drive in a Matrioska-Araba Fenice, da Emilio a i Vicini di Casa, da Su la testa a Va’ pensiero, da Comici agli speciali di Aldo Giovanni e Giacomo. Però se siamo qui oggi lo dobbiamo, si suppone, a Zelig. E Zelig, quello televisivo intendiamo, ha una storia che spiega molto bene quello che abbiamo detto prima, è un po’ la finestra delle previsioni del tempo, la radio di cui parlavamo.
Zelig Circus è stato uno dei fenomeni televisivi degli ultimi anni. Perché tutti abbiano chiare le dimensioni del fatto, diciamo che negli ultimi tre anni sono andate in onda su Canale5 35 puntate di Zelig Circus in prima serata con un ascolto medio (sottolineamo medio) di 7.831.000 spettatori, per uno share medio del 31,4%. E tutto ciò nonostante tre festival di Sanremo, una giornata inaugurale delle olimpiadi invernali di Torino, una morte di papa. Insomma oggettivamente un grande successo. Che continuerà nei prossimi anni (non possiamo garantire proprio 50, ma faremo il possibile), che quindi si proietterà nel futuro, ma che rimane inequivocabilmente figlio del passato.
Abbiamo raccontato tante volte la storia di Zelig che ci pare quasi di essere ripetitivi, comunque la riassumiamo per sommi capi. Zelig è prima di tutto un locale. Un locale, pensate, inaugurato proprio il 12 maggio 1986, insomma oggi compie esattamente 20 anni. Era un localaccio, altro che i peggiori bar di Caracas, sembrava quasi una birreria di Budapest (come la definì con affetto e ironia il regista Almodòvar venendoci a trovare), ma aveva un’anima (comica) di grande lusso. Insomma, era un cabaret vero, secondo la tradizione milanese. Il locale ha sempre sofferto, fin dal primo giorno, gravi problemi economici. Tanto era ben frequentato dal punto di vista artistico (qui sono nati o cresciuti Paolo Rossi, Claudio Bisio, Antonio Albanese, Gene Gnocchi, Aldo Giovanni e Giacomo, Cornacchione, Maurizio Milani, per limitarci a quelli della prima generazione) quanto era poco frequentato dal punto di vista del pubblico. In realtà la sala era quasi sempre esaurita, ma potendo contenere per legge meno di 100 persone, quando faceva il tutto esaurito fatturava la metà di una latteria di quartiere.
Beh, sarebbe bastato far pagare allora 50.000 lire il biglietto, per ribaltare la situazione. In fondo pur sempre di locale notturno si trattava. E dell’unico cabaret attivo sette giorni su sette in Italia. Ma noi eravamo e restiamo romantici. Preferivamo avere il locale pieno di studenti e impiegati a 5.000 lire piuttosto che averlo pieno di un pubblico a noi lontano a 50.000. Ancora adesso è un po’ così. Insomma, dicevamo prima, che possiamo adattarci almeno in parte all’era dell’Ipod. E infatti l’abbiamo fatto, ma non riusciremo mai a adattarci all’epoca del Billionaire. Non solo per motivi etici, sociali e artistici, ma perché non ci divertiremmo noi. Noi apparteniamo a una strana religione che ha un solo comandamento “se non ti diverti, non farlo. Neanche se ti danno un miliardo. Se ti diverti e puoi farlo, fallo… e chiedine due, di miliardi. Oppure fallo gratis.” Chi ci conosce lo sa.
Tornando al locale Zelig, a quei tempi si tirava avanti autotassandoci (noi due) o lavorando 16 ore al giorno con lo stipendio di un operaio della Falk (Giancarlo). Dopo 5 anni di questa vita ricchissima di soddisfazioni ma poverissima di risultati economici iniziammo a tentare la strada della tv. L’unica strada per tenere aperto il cabaret era infatti quella di realizzarci all’interno una trasmissione televisiva. Con quei soldi si potevano pagare i comici, la Siae, i fornitori (cioè il panettiere per i panini e la Moretti per la birra) e il padrone di casa per l’affitto. Così per curiosità, il padrone di casa di Zelig era (ma è ancora oggi che siamo tutti ricchi e famosi) il Cifup, che è un acronimo e sta per Circolo Familiare di Unità Proletaria, una cooperativa costituita nei primi del ‘900 e ancora oggi proprietaria dei muri. Pensate un po’. Bisogni minimali, come si vede, eppure molto più difficili da soddisfare di quel che si possa ragionevolmente immaginare. Non stiamo ad annoiarvi con i dettagli del nostro inutile girovagare per quasi 10 anni proponendo a tutti quello che poi in soldoni sarebbe diventato lo Zelig Circus di oggi. Vi raccontiamo però un paio di aneddoti che ci servono per portare un po’ d’acqua al nostro mulino, che è quello (come ormai sapete) che il futuro della televisione è la radio. Il primo riguarda Mediaset, il secondo la Rai, così giusto per essere equidistanti, in questa Italia al 50%.
Siccome vedevamo che il progetto di trasmissione da Zelig non decollava e la scusa era che era troppo costoso per una trasmissione di seconda serata, arrivammo al punto di proporre a Mediaset di comprarsi il locale. Era il periodo in cui Mediaset comprava le sale cinematografiche, per cui il nostro ragionamento era semplice: la comicità (come i film) è una componente fondamentale della televisione, i comici di Zelig da anni vengono utilizzati all’interno di diverse produzioni Mediaset. Se noi chiudiamo per voi è un problema. Allora pagateci l’affitto, il panettiere, e gli stipendi ai camerieri e in cambio chi esce di qui per primo passa da voi. Volume dell’investimento: un mese di stipendio di Marco Columbro. Risultato, birre e panini abbiamo continuato a pagarli noi per altri sette anni . Nomi non è carino farne ma vorremmo solo scagionare Giorgio Gori, lui non c’entra, lui anzi nel ‘98 è stato quello che per primo ha dato spazio nel palinsesto di Italia 1 al primo esperimento di Zelig televisivo.
Per la Rai invece il nome possiamo farlo. Noi avevamo un ottimo rapporto di stima e collaborazione col leggendario direttore di Rai3 Angelo Guglielmi, considerato (anche da noi, si intende) un rivoluzionario, uno che ha inventato un modo nuovo di fare tv. Bene, alla nostra proposta di Zelig in tv lui ci liquidò con una frase che ci ricordiamo ancora benissimo: “Mi dispiace, ma io faccio programmi televisivi, non riprese televisive. La vostra sarebbe la semplice ripresa televisiva di un evento che non nasce per la tv ma per il pubblico in sala. Irricevibile. Lasciate perdere questa che è televisione del passato e pensate invece alla televisione del futuro.”
Già, la televisione del futuro. Quella che riproduce in vitro – lo fa ormai da anni – quella stessa realtà a cui la gente è stata sottratta proprio dalla tv. Non sappiamo se sarà la tv del futuro, ma certo quella del presente è fatta in studio e riproduce piazze finte con il campanile finto e il bar finto dove gente finta (perché così è la gente vera davanti alle telecamere) racconta accadimenti verosimili o pseudo veri. Cioè stiamo parlando di una televisione in provetta che ci fa assistere passivamente a cose che i nostri genitori 50 anni fa facevano naturalmente nelle vere piazze e nei veri bar. Cioè si incontravano per comunicare e vivere in mezzo agli altri…
E ci fermiamo qui per non entrare nel tunnel dei reality, che consideriamo l’inevitabile sviluppo di questo tipo di televisione.
“Ci dispiace ma noi facciamo programmi televisivi, non riprese televisive” di spettacoli teatrali.
Queste parole dette con grande affetto e competenza ci colpirono molto. Era il 1992: mettemmo la proposta in un cassetto e per 5 anni non ne parlammo più. Però… Però questa idea della ripresa televisiva ce l’attaccammo addosso come un’etichetta. Grazie a Guglielmi avevamo capito che quella era la televisione che volevamo fare, e non ci importava se era considerata televisione di ieri.
Avevamo capito, forse senza aver capito del tutto di averlo capito veramente, che il futuro della televisione è la radio. E quando intendiamo la radio, intendiamo dire che la radio è l’anima antica e imprescindibile della televisione. Rappresenta le sue radici. Così come per la televisione comica le radici imprescindibili per renderla credibile sono lo spettacolo comico live. Le radici del varietà televisivo sono il varietà teatrale e il cabaret dove la gente ti respira sul collo, dove la qualità o l’immediatezza di una tua battuta o di un tuo sketch vengono dettati dalle reazioni del pubblico. Le radici della televisione comica, quelle che rendono il tutto credibile e reale, sono il palcoscenico, cioè una convenzione che “racconta” al pubblico in sala e al pubblico a casa che ciò che stai rappresentando è spettacolo, finzione, complice rivisitazione del reale. Non è qualcosa di finto contrabbandato per realtà, come molta televisione oggi. La televisione del futuro è per noi un gioco senza trucchi, che il pubblico televisivo (la cui intelligenza e sensibilità noi televisivi di professione spesso sottovalutiamo) sa riconoscere. Il nostro passato, presente e futuro con Zelig è stato, è e sarà, proporre la realtà. Convincere questa televisione un po’ claustrofobica a uscire liberandosi il più possibile della propria presuntuosetta, autoreferenzialità. In sostanza con Zelig abbiamo detto alla gente a casa: noi lo spettacolo lo facciamo così ogni sera. Volete vederlo? Accendiamo le telecamere. Che poi le telecamere siano tre o trenta è un altro discorso che non affrontiamo oggi. Così come ovviamente è improponibile che ogni sera a Zelig, il locale, ci siano in scena tutti insieme i trenta comici che ci sono in una puntata del Circus. Forse è questa l’unica differenza tra cabaret, rivista, varietà da un lato e televisione dall’altro. La televisione ha un po’ meno magia ma ha più mezzi tecnici e economici.
Andiamo a concludere il racconto di Zelig. Appurato quanto detto, iniziammo a lavorare in tv con Paolo Rossi, con AGG, coi comici in generale, ma avendo chiare due cose, colonne portanti dell’attuale Zelig televisivo: no agli studi televisivi, sì al pubblico pagante. Tutto qua. Regole che più che al passato appartengono alla preistoria della televisione. D’accordo. Eppure piano piano questa formula ha cominciato a essere prima seguita, poi accettata, poi perfino apprezzata. E in fondo era la scoperta dell’acqua calda, la finestra delle previsioni del tempo appunto.
50 anni fa Ennio Flaiano, con il classico atteggiamento un po’ snob che hanno tutti gli intellettuali, anche i geni come lui, disse: “La televisione è come il matrimonio, va bene in campagna ma in città fa ridere”. Non era vero naturalmente, però questa idea della campagna abbinata alla televisione ci è sempre piaciuta. Piaciuta un sacco, perché la campagna è fatta di gente che lavora davvero, di gente che non improvvisa nulla, che rapportata alla tv significa comici che fanno ridere, cantanti che sanno cantare, presentatori che sanno presentare, commentatori che sanno commentare e autori che sanno scrivere. Gente che fa il suo mestiere punto. Che poi il frutto di questo lavoro passi per il satellite, per il cavo, per l’antenna, sul telefonino, in auto per noi è poco rilevante, come per il contadino conta poco se le sue mele buone vanno al super, dall’ortolano, o sul camion.
Dunque la televisione del futuro è inequivocabilmente questo? Radio, telecamere fuori dagli studi, spettacoli live, contadini che vangano per produrre mele buone respirando e facendo respirare aria salùbre? Boh. Non pretendiamo di imporre una formula né pretendiamo che la nostra televisione sia la strada obbligata per tutti. Diciamo solo che questa è la televisione che ci piace fare e vedere. E che lasciamo ai nostri figli, senza troppi imbarazzi e senza scuotere la testa.
Quel che conta, alla fine di tutto, proprio come fanno i contadini di Flaiano, è fare le cose seriamente ma non prendersi troppo sul serio, perché si sta facendo la televisione che è sì una roba bella, ma rimane una roba. Come diceva Danny De Vito in una memorabile sitcom, Taxi; “La cosa più bella della televisione è che se qualcosa di importante succede in qualunque parte del mondo, mattino o pomeriggio, giorno o notte, tu puoi sempre cambiare canale!”

12 maggio 2006